Botola stagna bloccata e lui chiuso dentro. La stanza è graziosa, arredata alla
moda, pulita e con diverse comodità: si può guardare la televisione, allenarsi,
andare in bagno e guardare fuori da un oblò ma solo in direzione del cielo. Il
soffitto è l’unica parte della stanza trasparente mentre tutto il resto è in
cemento armato. Dalla pianta perfettamente tonda, nulla in quell’ambiente sembra
mancare; al contrario nella parete opposta alla botola si trova un insolito citofono
che ha solo il pulsante “parla”. Da questo accessorio è possibile parlare ma
non è consentito ascoltare nulla, alla pari di un urlo verso le montagne ma
senza nemmeno l’eco di ritorno.
Michele ha giornate molto regolari, è tranquillo e vive di quello che ha senza
desideri oppressivi anche se spesso ripensa all’aria aperta, al verde, alle
passeggiate, alle partite di calcio, agli amici e alle grigliate in compagnia.
Usa il citofono tutti i giorni come un diario: comunica al mondo esterno il suo
stato di salute, i suoi pensieri, le sue riflessioni e non sa se qualcuno
ascolta. Ha notato solo che alla fine di alcuni suoi discorsi, soprattutto
quando sono molto accalorati, si sente in lontananza il rumore di quello che a
lui sembra un battere di piedi sul pavimento. Questo rumore sommesso gli
ricorda quello delle proteste, quando ai fischi e alle urla si unisce il frastuono
ripetuto dei piedi sul pavimento. Qualunque cosa sia Michele lo interpreta come
un dissenso rispetto al suo discorso e se ne rattrista ogni volta che accade.
Oggi però è accaduto l’inaspettato: il citofono ha parlato:
“Il sig. Michele, detenuto nel silos numero 844, è libero, se lo vuole”
E la botola si è immediatamente aperta.
“Michele, esci”
“Non ne ho più voglia”
“Ma come, non ti manca la tua vita di prima?”
“A volte! Ma richiudete subito la porta che tra due ore devo fare il mio
discorso!”
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