Un pianoforte, quattro mani

Un pianoforte, quattro mani.




Un pianoforte, una stazione in centro città. Chiunque può suonare, quello che vuole e quando vuole.

Il primo è un uomo sulla mezza età, si avvicina sicuro guardandosi intorno. Senza  troppi capelli, si accompagna con un sacchetto del Carrefour di carta e un palmare su cui sono riportati alcuni testi e accordi. Inizia a suonare e cantare pezzi melodici, con voce alta e intonata. Si gira continuamente, cerca attenzione e coinvolgimento. Alcuni bambini, i primi a notarlo, vanno verso di lui e ballano. Lui si interrompe, cambia musica e si agita per seguire l'onda di entusiasmo. Sembra soddisfatto ma presto i bambini se ne vanno, attratti da un pagliaccio di strada fuori dalla stazione. L’uomo si guarda intorno di nuovo, tenta nuove pezzi ma nessuno lo segue più. Rattristato, alza lo sguardo e vede una timida ragazza che gli chiede di poter prendere il suo posto.

La ragazza non parla, ha lo sguardo basso, gli occhiali e i capelli a caschetto biondi. L’uomo scende dal piedistallo su cui è montato il palco con un inchino e resta a fianco del pianoforte. Senza nulla con lei se non un piccolo zaino che tiene sulle spalle, la ragazza si siede, accarezza il piano e inizia a suonare qualcosa che non riconosco. Solo musica, niente parole. L’intensità, la cura, l’intimo trasporto e la melodia richiama molte persone: arrivano passeggeri in attesa da molte parti della stazione ma lei non li vede, continua a suonare come in una bolla solitaria, per se stessa o per qualcosa di grande che non è dato sapere. Dopo circa tre minuti lentamente termina il pezzo e si gira per alzarsi. Circa venti persone sono arrivate ad ascoltare in silenzio. Parte un applauso spontaneo.
La ragazza sorride senza gioia e se ne va, mentre veloce come un avvoltoio l’uomo riprende il suo posto e inizia un pezzo popolare, che resta velocemente senza pubblico.

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